La Coltivazione del Tabacco a Masseria Ferarelli Trepizzi

Grazie al clima che presenta condizioni meteo molto favorevoli per questo tipo di coltura, il Salento insieme a tutto l'arco ionico apulo-lucano venne individuato come zona di interesse strategico dove sviluppare questa coltura. A Lecce già nel 1812, con l’insediamento del Regno di Napoli, venne istituita la prima “Manifattura Tabacchi del Salento Leccese”. La Storia del Tabacco e della figura delle tabacchine nel Salento è, sicuramente, una pietra miliare che ricostruisce le vicissitudini di un popolo con una ben definita identità. Ancora oggi si ricorda la figura delle tabacchine come simbolo della donna dedita al lavoro e alla famiglia e della rivolta proletaria femminile del 1900. Tra la prima e la seconda guerra mondiale, i miei avi PAGLIARA GIACOMO FRANCESCO (*02/07/1887 +18/01/1958) e BORLIZZI MARIA CRISTINA (*04/10/1890 +31/12/1974) dopo aver appreso le tecniche di coltivazione del tabacco conto terzi e come mezzadri (prima nella provincia di Matera - a Bernalda e Marconia e poi nella provincia di Taranto - a Sava e Lizzano) decisero di attivarsi per la coltivazione in proprio del Tabacco nelle loro campagne di proprietà in agro di Diso.
Inizialmente iniziarono la coltivazione in contrada Campo San Vito e successivamente "alli ferareddrhi" in vicinale Doleo. L'attività della coltivazione del tabacco nella nostra famiglia è iniziata quindi intorno agli anni '40 e portata avanti poi dai miei genitori PAGLIARA SALVATORE (*15/11/1934 +08/11/2008) e DE SANTIS CARMELA (*19/05/1939 ) fino all'inizio degli anni '80. La casa colonica oggi denominata "Masseria Ferarelli" altro non è che un vecchio magazzino dove veniva stoccato e conservato il tabacco prima della lavorazione e la preparazione dello stesso per il conferimento alla manifattura certificata dai Monopoli di Stato. Alle campagne di proprietà si aggiunsero per diversi anni altre campagne prese in affitto per incrementare la produzione di quella che fu la coltivazione agricola principale nel Salento leccese che impegnava al lavoro intere famiglie durante tutto l'anno. Mia madre Carmela fu una tabacchina, socia presso la "Cooperativa tra Tabacchicoltori La Contadina di Castiglione d'Otranto" per tutto il periodo di attività e fino alla sua definitiva liquidazione a metà degli anni '80. I "taraletti" messi al sole ad essiccare, l'aroma forte e pungente del tabacco seccato nel magazzino, il grasso delle foglie sulle mani durante la raccolta e il dolore delle dita che nell'infilare le foglie del tabacco battevano sulla punta dell'"acuceddrha" fanno riaffiorare in me un ricordo nitido di quei tempi e di quelle estati roventi passate in campagna ad "aiutare" la famiglia in quello che era un lavoro collegiale.
La coltivazione iniziava il suo ciclo a gennaio-febbraio con la preparazione e la semina nei semenzai "ruddrhe" delle qualità maggiormente diffuse in questo territorio che erano quelle levantine provenienti dai vicini Balcani: Perustizza, Xanti Yakà ed Erzegovina. Per la preparazione dei semenzai si utilizzava il letame degli animali che venivano allevati per il sostentamento alimentare delle famiglie e per il trasporto come pecore, capre, cavallo e asino. Uno strato di letame "rumatu" curato veniva utilizzato alla base del semenzaio e successivamente semi di tabacco e cenere venivano seminati. Per favorirne il germoglio e la fertilizzazione delle piantine il semenzaio veniva innaffiato tutti i giorni e ricoperto con un telo trasparente in modo da lasciar passare la luce del sole. Un'altra parte del letame veniva utilizzata per fertilizzare e preparare i terreni sui quali si sarebbe poi fatta la vera e propria piantagione stagionale del tabacco. Le piantine allevate nel semenzaio verso la metà del mese di aprile, con l'arrivo della bella stagione, erano pronte per il trapianto nel terreno aperto. Le stesse venivano estirpate con cura dal semenzaio cercando di preservare l'integrità della radice e poste nelle “cascette”, piccole casse in legno, coperte da un telo juta umido prima di essere trapiantate nel terreno precedentemente arato e concimato. La piantagione era strutturata in filari distanti circa 30 cm l'uno dall'altro e le piantine distanti circa 20-25 cm luna dall'altra. Per realizzare i filari veniva utilizzato uno strumento che a forza di braccia con un peso posto sopra, per favorire la penetrazione nella terra, veniva tirato sul campo, questo strumento si chiamava "traja".
La legge non scritta prevedeva che al mattino gli uomini preparassero "la chiantime" ossia le piantine prelevandole dal semenzaio. Sempre gli uomini si occupavano di fare i filari con la "traja" mentre le donne con il "palo" piantavano le piantine lungo i filari. Era compito degli uomini innaffiare con l'innaffiatoio "n'dacquaturu" le piantine appena trapiantate. Questo lavoro di trapianto invece avveniva solitamente nel pomeriggio in modo tale da far passare la notte al fresco alle piantine messe a dimora nel terreno del campo evitando nelle prime ore del trapianto che le stesse fossero esposte al sole. l'innaffiatura doveva ripetersi tutti i giorni nella prima settimana dalla messa a dimora delle piantine di tabacco. Oltre all'innaffiatura, il tabacco per crescere forte e rigoglioso doveva essere "sarchiatu" spesso ossia la piantagione doveva essere ripulita dalle erbacce infestanti che diversamente ne avrebbero rallentato la crescita con ricadute negative sul raccolto. Verso la fine del mese di maggio si poteva iniziare con la raccolta delle foglie per poi portarle a casa per infilarle con "acuceddrha" e "spagu" e farne dei "filari" che sarebbero poi stati messi su degli appositi telai in legno detti appunto "taraletti". I "taraletti" come detto servivano per essiccare i filari di foglie di tabacco al sole. Ogni "taraletto" era composto da 20-22 filari. Quando finiva il passaggio dell'essiccazione al sole che durava non meno di un mese, i filari del tabacco di un singolo "taralettu" venivano raccolti in un gruppo di filari secchi per poi essere appesi in appositi magazzini per continuare la stagionatura. Il tabacco contenuto in un "taralettu" veniva raccolto in un unico mucchio legato con gli stessi spaghi chiamato "chiuppu". Alla fine della stagione della raccolta e dell'essiccazione le tabacchine si aiutavano tra di loro per fare il lavoro della "ballatura" ossia la composizione di "ballette" attraverso l'utilizzo di apposite casse in legno che servivano a pressare i "chiuppi" di tabacco in confezioni cucite con un attrezzo a mo di grande ago "saccurafia" che utilizzando una corda e delle tele di juta, dava alle ballette una dimensione simile per peso e forma. Questo lavoro veniva fatto nelle giornate di scirocco ossia giornate umide in modo che le foglie del tabacco secco non si sbriciolassero durante il lavoro di pressatura.
Tornando alla raccolta delle foglie bisogna ricordare che tale operazione iniziava dalle foglie della parte bassa della pianta e man mano si risaliva verso l'alto. Possiamo dire che la prima raccolta "ccota" solitamente non era di una qualità eccelsa, essendo foglie più vicine alla base della pianta e quindi al terreno. Infatti, spesso queste foglie della prima raccolta contenevano dei residui di terra che ne abbassavano la qualità finale del prodotto. La seconda e la terza "ccota" invece erano le migliori ed erano quelle maggiormente contribuivano a dare la valutazione finale del dottore perito agrario che faceva la valutazione della "partita" di tabacco in fase di conferimento. La quarta "ccota" e quella finale, attraverso la quale si raccoglievano tutte le foglie dalla pianta fino alla punta, erano quelle più difficili da seccare e che essendo più verdi in una fase finale della stagione dovevano essere ben seccate per non inficiare la qualità finale dell'intero raccolto. L'ultima raccolta con la quale si toglievano tutte le foglie allo stelo delle piante veniva anche detta "puntalora" ad indicare che si raccoglievano tutte le foglie rimaste sulla pianta fino alla punta. Durante quest'ultima parte della raccolta, le tabacchine si occupavano di un'altra fase molto importante e delicata, ossia quella di selezionare le piante che avevano sviluppato un buon fiore che veniva poi essiccato per produrre i semi da utilizzare l'anno successivo per creare i semenzai e ricominciare il ciclo produttivo.
Sono nato e ho vissuto la mia infanzia in una famiglia contadina dedita alla coltivazione del tabacco, ultima di tre generazioni di tabacchicoltori. Con la caduta di questo sistema economico il cambio verso altri settori e verso altri lavori è stato inevitabile per tutti noi ragazzi degli anni '70. Nel 2018 con mia moglie Cristina e sotto gli occhi curiosi dei nostri figli Alice e Jacopo abbiamo scommesso di nuovo sulla terra e sul territorio, sulle nostre radici, restaurando completamente la casa colonica ereditada dai miei genitori e denominata Masseria Ferarelli Il nostro "ritorno alla terra" non è paragonabile e non contempla minimamente i sacrifici dei nostri avi, degli uomini e delle donne del passato ma siamo convinti che serva a farci capire meglio chi siamo e da dove veniamo. L'aver voluto ripristinare i luoghi che sono stati teatro di tanti sacrifici ma anche di tanta condivisione e convivialità non è altro che un modo per preservare l'essenza di tutto ciò. Il concetto di ospitalità rurale che abbiamo in mente e che cerchiamo di offrire ogni giorno ai nostri ospiti è il modo migliore per diffondere e far conoscere il Salento di quegli anni. di Filippo Pagliara credits: si ringrazia per le foto dell'archivio del dr. Antonio Bruno

Commenti

Post popolari in questo blog

Il Progetto del Giardino Mediterraneo

Le Camere della Masseria